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La cataratta è una delle più comuni cause di riduzione della capacità visiva nell’età senile. Essa è rappresentata dalla progressiva opacizzazione del cristallino, una struttura estremamente trasparente dalla forma simile ad una lenticchia contenuta nel nostro occhio, che svolge la funzione di una vera e propria lente.

Normalmente le immagini che entrano nel nostro occhio vengono indirizzate alla retina (e da qui al cervello tramite il nervo ottico) grazie anche all’effetto del cristallino, ma se questo è opaco le immagini vengono sempre più affievolite nel loro percorso, fino ad essere addirittura schermate nei casi di cataratta più avanzata. Purtroppo, non esistono terapie mediche che possano restituire al cristallino la sua trasparenza una volta che si è opacizzato ed è diventato cataratta; l’unico modo per recuperare la capacità visiva persa è rimuovere chirurgicamente il cristallino naturale opaco sostituendolo con una lentina artificiale trasparente (“intervento di estrazione di cataratta con impianto di IOL”, dall’inglese IntraOcular Lens).

Se le altre parti dell’occhio deputate alla visione funzionano correttamente, il recupero visivo è rapido e completo. Nell’arco di pochi giorni e con una terapia post-operatoria a base di colliri, il paziente operato di cataratta torna a vedere immagini nitide e colori brillanti.

Perché subito dopo l’intervento di cataratta ci vedevo bene e ora non più?
Perché subito dopo l’intervento di cataratta ci vedevo bene e ora non più?
Perché subito dopo l’intervento di cataratta ci vedevo bene e ora non più?

Tuttavia, in una piccola percentuale di casi può accadere che dopo un primo periodo di benessere visivo il paziente torni a vederci male per via di quelle che vengono definite “complicanze tardive” dell’intervento di cataratta. Tra le più gravi e temibili, ma per fortuna anche più rare, vi sono quelle su base infettiva, ovvero procurate da microrganismi che infettano l’occhio durante l’intervento e che si moltiplicano così lentamente da manifestare la propria presenza anche a distanza di alcune settimane dall’intervento. Questi casi possono richiedere anche l’ospedalizzazione o un ulteriore intervento e il recupero visivo non è scontato.

Tra le complicanze tardive più frequenti di un intervento di estrazione di cataratta riconosciamo invece l’opacizzazione della capsula posteriore, ovvero un ispessimento a carico della sottile membrana trasparente che costituisce il “sacchetto” che conteneva il cristallino naturale e in cui viene adagiata la lentina intraoculare artificiale al momento dell’intervento. L’effetto visivo è quello di una “seconda cataratta”, ma in questo caso si può intervenire utilizzando uno strumento laser spesso presente negli ambulatori oculistici che polverizza e apre la capsula posteriore ispessita e opaca.

Un’ulteriore complicanza tardiva dell’intervento di cataratta è l’edema maculare post-chirurgico (noto anche come edema pseudofachico o sindrome di Irvine-Gass), a causa del quale a distanza di qualche settimana dall’intervento anche pazienti che avevano avuto un recupero visivo post-operatorio ottimale possono iniziare a vedere offuscato e distorto.

Ciò è dovuto ad un aumento della permeabilità dei capillari della retina e alla conseguente dispersione di liquido nella macula, la parte più centrale e nobile della retina, in quanto deputata alla visione dei piccoli dettagli. Imbibita di liquido, la macula non riesce a funzionare correttamente e la capacità visiva diminuisce.

Tra gli studiosi delle patologie retiniche c’è accordo nel ritenere che l’edema pseudofachico abbia una base infiammatoria e pertanto è razionale pensare che farmaci antinfiammatori possano essere efficaci sia nel prevenirlo che nel curarlo. Linee guida di prestigiose società scientifiche oftalmologiche raccomandano l'uso di colliri a base di FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) qualche giorno prima e nelle settimane successive all’intervento di cataratta, con l’obiettivo di controllare le reazioni infiammatorie.  Probabilmente è proprio grazie a questa pratica ormai consolidata che i casi di edema maculare post-chirurgico stanno diventando sempre meno frequenti.

Tra i FANS più studiati vi è l’indometacina, presente da molto tempo in commercio in collirio ad alte concentrazioni (0,5%) sotto forma di sospensione (le particelle di farmaco sono presenti come una finissima polvere bianca all’interno del collirio che va sempre agitato prima dell’uso), indicata per il trattamento in caso di dolore e/o infiammazione oculare. 

Studi clinici hanno dimostrato inoltre che anche l’assunzione di integratori a base di curcumina, le cui proprietà antinfiammatorie sono note, può favorire il riassorbimento del liquido dal tessuto retinico e il miglioramento dell’acuità visiva nei casi di edema maculare di natura infiammatoria, in particolare la corioretinopatia sierosa centrale e l’edema maculare post-operatorio. 

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